Ennio Morricone aiuta a comprendere la creatività musicale

 

 

LORENZO L. BORGIA (a cura di)

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XXI – 06 aprile 2024.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Una relazione del nostro presidente Giuseppe Perrella presentata al Seminario Permanente sull’Arte del Vivere della Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia è qui riassunta, eliminando alcuni tecnicismi e dettagli analitici che avrebbero potuto appesantire il testo, ma conservando la fedeltà di forma e contenuto in tutte le parti trascritte. Pertanto, l’autore del testo deve considerarsi lo stesso presidente, che ha voluto lasciare la firma al curatore.

 

Introduzione. Prima di narrare brevemente e commentare un’esperienza del grande maestro, che ci dà lo spunto per parlare di processi cerebrali connessi alla creatività musicale, ci piace ricordarlo mentre al buio di una sala cinematografica guarda le scene di un film senza colonna sonora e appunta note di getto, senza poterle rileggere, andando avanti e anticipando in mente il suono dell’orchestra, così come noi possiamo immaginare ciò che il nostro occhio vedrà. Lo ha detto più volte: la composizione comporta momenti e fasi di sofferenza.

La scrittura orchestrata di un’opera musicale è un lavoro molto impegnativo. Ennio Morricone raccontava nel 2020, parlando dei suoi inizi, che nel 1956 impiegò nove mesi per scrivere un concerto per orchestra e, alla fine del lavoro, ricevette solo 60 mila lire di diritti d’autore; e fu allora che cominciò a pensare di scrivere orchestrazioni o musiche per canzoni e lavorare per le case discografiche, per la radio e per la televisione. Sulla scorta di questa scelta venne il suo lavoro di autore di colonne sonore di film (ne ha scritte e dirette oltre 470) e, a dispetto del continuo ripromettersi di smettere per dedicarsi alla musica sinfonica e a varie forme di sperimentazione compositiva, ha continuato mietendo successi e fama mondiale, fino ad essere considerato il più grande autore di musiche da film.

 

Consideriamo brevemente la composizione musicale dal punto di vista delle neuroscienze[1]. Non sono stati ancora identificati circuiti e processi esclusivi per la creazione della musica, ma è noto che il momento esecutivo è preceduto da un’elaborazione sotto-soglia di coscienza, caratterizzata dalla produzione di stati attivi che possono essere ragionevolmente paragonati alle sequenze di schemi codificanti le parole in uscita, sotto il controllo della rete esecutiva del linguaggio.

Man mano che il flusso di informazioni entra nella parte esplicita della coscienza attraverso un primo livello di codifica solo neurale, il compositore interviene guidando la codifica in uscita: scrive a volte intere frasi musicali in rapida sequenza, corregge, cambia, aggiunge e procede spesso a lungo, senza fermarsi. Questo quadro mentale in cui il compositore sa sempre cosa è giusto e cosa è sbagliato, man mano che il flusso emerge alla coscienza e viene trasformato in musica orchestrata, corrisponde a ciò che convenzionalmente si chiama “ispirazione”. Un compositore esperto è raramente incerto, ma quando si ferma di scrivere, la pausa può diventare molto lunga. Un profano può facilmente dedurre che “manca l’ispirazione”, ma a volte è smentito dal compositore stesso, che afferma di avere in mente la musica, ma di essere inibito da problemi di scelta o questioni tecniche che nascono da suoi ragionamenti, giudizi o richieste altrui sulla sua musica. In altre parole, un ostacolo proveniente dalla dimensione cosciente, esplicita della mente.

Cose accade in questi casi? Le possibilità sono varie, ma la più comune è che, per tante ragioni diverse, il flusso di informazioni pre-elaborato inconsciamente non è più tanto definito, organizzato e strutturato come nelle fasi in cui vige il quadro funzionale che sostiene la produzione “di getto”, e allora il compositore usa per creare gli strumenti della coscienza esplicita o dichiarativa, che in precedenza aveva adoperato solo per rifinire e fare l’editing preciso della musica. A questo sforzo di intelligenza costruttiva[2] non supportato da un pre-elaborato inconscio faceva implicitamente riferimento Ennio Morricone in un’intervista del 2020, in cui parlava della fatica del comporre e dell’inutilità in alcuni casi di continuare a sforzarsi, quando la nuova musica non vuol saperne di sgorgare dalla fonte mentale.

 

The Mission: la musica che Ennio Morricone non voleva scrivere. Ma veniamo all’esperienza fatta dal maestro in occasione della realizzazione della colonna sonora del film Mission o The Mission, secondo il titolo originale. Il regista Roland Joffé non diede alcuna possibilità di ispirazione al compositore durante la lavorazione, e lo convocò solo alla fine per vedere il film finito, completo e già montato. Morricone, dopo aver assistito alla proiezione, dichiarò che a suo parere la pellicola stava bene così, senza colonna sonora, ma Joffé insistette molto, fino a ottenere che il musicista italiano accettasse il lavoro.

Ennio Morricone aveva l’abitudine di studiare per entrare nella dimensione mentale delle sue composizioni, e non sappiamo se abbia studiato Domenico Zipoli nell’attesa di essere chiamato da Joffé o dopo aver ceduto alle sue insistenze, accettando l’incarico di comporre le musiche per una storia ambientata nel 1750 nella piccola foresta pluviale al confine tra Brasile, Argentina e Paraguay, sopra le cascate dell’Iguazú, dove vive una tribù Guaranì che il missionario gesuita Padre Gabriel avvicina con la magia della musica del suo oboe, per evangelizzarla. Non poteva fare scelta migliore.

Domenico Zipoli, nato a Prato nel 1688 e morto a Cordoba nel 1726[3], era un missionario gesuita come Padre Gabriel, aveva vissuto nelle missioni gesuite del Paraguay, dette riduzioni, e in altre aree sudamericane abitate da Guaranì, e soprattutto era un grande compositore. La sua musica è considerata da musicologi e appassionati di cultura precolombiana un mezzo straordinario per ritrovare l’atmosfera della vita di quella gente in quei luoghi naturali, in quell’epoca, nell’incontro con la spiritualità cristiana.

Ennio Morricone isolò tre diversi contesti umani e narrativi quali fonti di ispirazione, e compose tre differenti temi in grado di rendere la dimensione musicale di tre diversi stati qualitativi della coscienza. I tre lavori creativi, per quanto era nella consapevolezza del compositore, erano stati concepiti e realizzati in modo del tutto indipendente l’uno dall’altro. Per questo motivo – narra lo stesso Morricone[4] – lui fu stupito del fatto che, alla prova di utilizzo delle tre diverse ispirazioni per realizzare i 20 brani che costituiscono la colonna sonora, le tre composizioni indipendenti si rivelarono straordinariamente compatibili, come se fossero state scritte per interconnetterle armonicamente[5]. Dopo oltre 25 anni, il maestro era ancora meravigliato di questa coincidenza e ci teneva a sottolineare la casualità di quell’esito, in un’intervista per un programma televisivo.

La conoscenza neuroscientifica ci viene in aiuto, consentendoci di comprendere come sia stato possibile un caso tanto fortunato. In realtà, non si era trattato affatto di un colpo di fortuna. L’ispirazione originata dalla visione del film e dalla riflessione sugli aspetti principali della trama, era consistita in una pre-attivazione di schemi paradigmatici (pattern) di elaborazione inconscia, cui gli automatismi cerebrali di processo avevano imposto elementi di base comune e gli stessi vincoli originati dalla selezione di apprendimenti musicali pregressi, congrui con le richieste del presente.

In altri termini, lo stato cerebrale che corrisponde a ciò che chiamiamo “avere l’ispirazione” può considerarsi come una configurazione di attività che codifica un “tema funzionale” al livello dei processi non coscienti, cui attinge il livello cosciente quando compie le operazioni cognitive della creazione artistica[6]. Dunque, tutte le espressioni musicali composte sotto l’influsso di una stessa ispirazione possono considerarsi variazioni di codifica cosciente sul tema neurale inconscio. Naturalmente, queste “variazioni sul tema” risentono della cultura musicale e del gusto dell’autore: due proprietà che attingono al patrimonio di conoscenze ed esperienze memorizzate nel corso della vita.

Il termine “tema”, che qui abbiamo adottato per cercare di rendere nel modo più chiaro possibile ciò che si ritiene avvenga nel cervello, è solo un’espressione del linguaggio figurato per facilitare la comprensione e non deve essere confuso con il “tema musicale”, che è un prodotto della mente secondo l’arte della musica. Invece di usare la parola “tema”, avremmo potuto definire questo segmento di attività neurale “struttura”, riferendoci alla sua natura invariante che ne caratterizza la riconoscibilità, e chiamare gli schemi funzionali cerebrali codificanti le frasi musicali ideate dal compositore “isomorfismi” o “varianti isomorfe” della struttura elaborata inconsciamente, che ispira la creazione.

Gabriel’s Oboe, il tema principale della colonna sonora del film che è anche il sottofondo musicale del primo incontro di Padre Gabriel con i Guaranì (v. nota 5), nel suo motivo iniziale non è che una variazione sul tema di Veni Creator Spiritus (“Vieni Spirito Creatore”), attribuito a San Rabano Mauro, Arcivescovo di Magonza che lo compose nel IX secolo, e ancora abbinato alla sequenza Veni Sancte Spiritus nella liturgia di Pentecoste. Non sappiamo se questo tema liturgico tradizionale abbia influenzato Morricone direttamente o attraverso le opere di Domenico Zipoli, e non possiamo nemmeno escludere la possibilità che il maestro abbia deliberatamente scelto di attingere a quell’affascinante spartito in notazione quadrata[7] su tetragramma, risalente a circa 1200 anni fa, per prendere le mosse dalla suggestiva semplicità di una purezza essenziale.

 

L’arte di comporre musica richiede una buona memoria di funzionamento (working memory). Questa riflessione sull’esperienza di Ennio Morricone ci dà anche l’occasione per mettere a fuoco un altro aspetto neurofunzionale della creatività musicale; un aspetto che si rende più evidente se si paragona un compositore a una persona che non ha mai studiato musica, ma che ama cantare e, di tanto in tanto, si diverte a mettere in sequenza note in modo nuovo, creando motivetti o vere e proprie melodie. L’inventore occasionale perde facilmente il ricordo dello spunto, e solo raramente riesce a tenere in mente una nuova frase musicale per il tempo necessario a pensare il seguito e montare una successione di due o tre spunti. Al contrario, un autore professionista sembra non avere alcun problema di ritenzione mnemonica per tutto quanto gli affiora alla coscienza e intende trascrivere o rielaborare.

A questo proposito, era impressionante vedere Ennio Morricone scrivere musica: con una velocità straordinaria il pennino procedeva riempiendo quasi magicamente il pentagramma con piccoli scatti di frazioni di secondo per aggiungere punti, accidenti e altri segni; era evidente che il procedere della composizione era tutto nella sua mente, come un discorso che segue un filo di senso che influenza man mano lo sviluppo successivo. Questo è l’altro aspetto della creatività musicale che qui consideriamo: la composizione musicale professionale richiede un buono span di working memory[8].

Probabilmente lo studio della musica, inteso sia in termini di teoria musicale sia di tecnica per suonare strumenti musicali, e lo stesso esercizio di composizione estendono la capacità della working memory, non solo per quei contenuti specifici, ma più in generale. In altri termini, è probabile che potenzino la funzione di questo tipo di memoria di breve durata accrescendo lo span e l’efficienza, come è stato provato per lo studio della matematica e di discipline derivate.

Un altro esercizio cognitivo che, allo stesso tempo, richiede una buona working memory e la potenzia praticandolo, è il gioco degli scacchi. Ennio Morricone era un ottimo giocatore di scacchi: una volta riuscì a costringere alla patta il campione del mondo Boris Spassky.

Si può osservare che la working memory, considerata tradizionalmente dai neuropsicologi come una strumentalità cognitiva al servizio di processi di più alto livello, col progredire delle conoscenze neuroscientifiche è considerata sempre più una parte di funzioni multidimensionali alla base dell’agire intelligente della nostra mente, che contempla per induzioni, deduzioni, comparazioni, stime, calcoli e proiezioni future, una ritenzione temporanea di segmenti di astrazioni simboliche su cui agire intenzionalmente. In questa ottica possiamo supporre dei circoli virtuosi di auto-potenziamento dell’abilità creativa musicale, in cui l’esercizio compositivo aiuta l’espansione dello span di memoria, che garantisce una quantità di elaborazione maggiore nell’unità di tempo, facilitando il compattamento dei processi di elaborazione, con un aumento dell’efficienza di tutto il ciclo cognitivo che, al giro seguente, trova una working memory più estesa e un maggior numero di processi elaborabili simultaneamente nell’unità di tempo.

Concludendo, questa riflessione su un’esperienza di Ennio Morricone e sulla sua intelligenza scacchistica ci ha aiutato a focalizzare l’attenzione su due aspetti della creatività musicale: la produzione inconscia di paradigmi strutturali e l’importanza della memoria di funzionamento per l’elaborazione cosciente dell’ispirazione.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-06 aprile 2024

www.brainmindlife.org

 

 

 

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La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.

 

 



[1] Si attinge ai seminari aperti al pubblico della Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia tenuti presso il Caffè Storico Gilli in Piazza della Repubblica in Firenze nel periodo 2005-2009, e si rinvia alla bibliografia dei testi seminariali per i riferimenti specifici. Le nozioni principali sono tratte dai lavori sperimentali del team di Zatorre.

[2] Che spesso lascia insoddisfatto il compositore.

[3] Morì prematuramente stroncato dalla tubercolosi.

[4] Si fa riferimento all’ultima intervista rilasciata nel 2020 e reperibile su YouTube, e a un programma televisivo andato in onda di recente, che includeva narrazioni autobiografiche di Ennio Morricone, filmati e testimonianze di numerosi registi, produttori, attori e compositori.

[5] Fra questi vi è Gabriel’s Oboe da molti considerato il brano più famoso e celebrato nella storia del cinema. Per la colonna sonora del film The Mission, Ennio Morricone vinse il prestigioso premio British Academy of Film and Television Arts, un Golden Globe, una candidatura all’Oscar e altri premi. Il trio “Il Volo” ha inserito il brano principale del film in versione cantata, col titolo “Nella Fantasia”, nell’album Il Volo Sings Morricone.

[6] Questo vale anche per il processo creativo nelle arti figurative.

[7] La notazione quadrata o vaticana era il modo in cui tradizionalmente si scriveva il canto gregoriano o monodico.

[8] La working memory o memoria di funzionamento è costituita da una funzione di sistemi neuronici che conservano traccia dei processi mentali in corso, momento per momento e per un tempo anche più lungo e in genere sufficiente a formulare giudizi e prendere decisioni circa questioni che si evolvono attraverso sviluppi e cambiamenti. Una prova elementare di funzionalità della working memory è costituita dal compito alterno: si chiede a una persona, ad esempio, di sommare in mente più cifre (3+7+2), poi la si distrae con un compito di enumerazione o elencazione, e infine le si chiede di sottrarre una piccola cifra dal totale precedente (- 6 = 6). Erroneamente per decenni “working memory” è stato tradotto “memoria di lavoro”, denominazione conservata ancora in Italia in neuropsicologia.